A cura dell'Avv. Alessandro Nigro (vai al nostro sito web)
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mercoledì 30 marzo 2011

STUDENTESSA MORSA DA UN CANE NEL CORTILE ANTISTANTE L'EDIFICIO SCOLASTISCO: LA SCUOLA NE RISPONDE

Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 3680 del 15/02/2011

FATTO E DIRITTO

1. [OMISSIS] (studentessa prossima alla maggiore età), addentata alla mano da un cane incustodito e senza museruola nel cortile antistante l’edificio scolastico, mentre si accingeva a uscire da questo al termine delle lezioni, vedeva rigettata dal Tribunale la domanda, di risarcimento del danno per le lesioni subite, avanzata nei confronti del Ministero della pubblica istruzione.L’appello proposta dalla stessa veniva rigettato con sentenza del 5 settembre 2005.

2. Avverso la suddetta sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, e depositato memoria.Il Ministero, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensive.

3. La decisione impugnata ha rigettato l’appello sulla base delle seguenti argomentazioni:a) l’azione proposta in primo grado, come qualificata dal giudice adito e non specificamente impugnata sul punto, con conseguente passaggio in giudicato, è di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.;b) correttamente il Tribunale ha rigettato la domanda ex art. 2043 c.c., non potendosi configurare a carico della P.A. l’obbligo di impedire, attraverso appositi accorgimenti, compresa la destinazione di personale addetto alla sorveglianza all’ingresso, il verificarsi di simili eventi; né potendosi ritenere che la sorveglianza all’ingresso risponda a principi di prudenza e diligenza o che vi sia colpa (o dolo) della P.A. nella mancata predisposizione di accorgimenti idonei a evitare l’accesso di cani. Restando, perciò esclusa la possibilità di riferire l’evento alla responsabilità alla P.A.;c) l’appellante ha dedotto la violazione dell’obbligo contrattuale di garantire la sicurezza dei minori affidati alla scuola, ma la domanda non può esaminarsi perché nuova, essendo diversa da quella di risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale, correttamente rigettata dal primo giudice.

3.1. La ricorrente, con unico motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2048 c.c., in una con insufficiente e contraddittoria motivazione. Chiede che la sentenza sia cassata in applicazione del principio di diritto per cui, stante la portata generale dell’obbligo dell’amministrazione scolastica di garantire la sicurezza degli alunni, così che la sorveglianza e la custodia degli spazi frequentati dagli allievi deve intendersi finalizzata alla prevenzione di qualsivoglia rischio prevedibile, compresa l’introduzione di animali privi di custodia, chi agisce per il risarcimento deve dimostrare l’evento dannoso e il suo verificarsi nel tempo in cui l’alunno era sottoposto alla vigilanza dell’insegnante, restando indifferente che invochi la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanza di tempo e di luogo, affinché sia salvaguardata l’incolumità dei discenti minori.

4. Il ricorso è fondato.

4.1. Da quasi un decennio è principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il titolo della responsabilità del Ministero della pubblica istruzione, nel caso di alunni che subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero esser sorvegliati dal personale della scuola, può essere duplice e può esser fatto valere contemporaneamente. Il titolo è contrattuale se la domanda è fondata sull’inadempimento all’obbligo specificatamente assunto dall’autore del danno di vigilare, ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri. Quindi, lo stesso comportamento può essere fonte per il suo autore sia di una responsabilità da inadempimento, sia di una responsabilità da fatto illecito, quando l’autore della condotta anziché astenersene la tenga, ovvero manchi di tenere la condotta dovuta e le conseguenze sono risentite in un bene protetto, non solo dal dovere generale di non fare danno ad altri, ma dal diritto di credito, che corrisponde ad una obbligazione specificamente assunta dalla controparte verso di lui. Quando una tale situazione si verifica, il danneggiato può scegliere, sia di far valere una sola tra le due responsabilità, sia di farle valere ambedue (in particolare da Cass. n. 16947 del 2003 sino a tempi molto recenti).Pure pacifico da tempo è che l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissio
ne dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso). Nonché, che è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ.; sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (da s.u. n. 9346 del 2002 sino al 2010).

4.2. La sentenza impugnata contrasta, evidentemente, con questi principi. Oltre a ignorare il duplice titolo di responsabilità e la facoltà di scelta in capo al danneggiato, non ha valutato la portata degli obblighi contrattuali derivanti all’amministrazione scolastica dall’iscrizione dell’alunno.
Con l’iscrizione, gli alunni sono affidati all’amministrazione scolastica, che esplica il proprio servizio attraverso il personale – docente e non – e mediante la messa a disposizione di locali, laboratori ecc. Dall’iscrizione deriva a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni. Quindi, anche l’obbligo di vigilare, predisponendo gli accorgimenti necessari a seconda della conformazione dei luoghi, affinché nei locali scolastici non si introducano terzi (persone o animali) che possano arrecare danni agli alunni. Ne deriva che, nelle controversie per il risarcimento del danno da lesioni provocate dall’aggressione di un cane incustodito, nei locali e pertinenze (come nel caso di specie il cortile antistante l’edificio scolastico) messi a disposizione dalla scuola, l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre l’amministrazione ha l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile, essendo stati predisposti gli accorgimenti idonei ad impedire l’accesso a terzi.

5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata. Il giudice di rinvio rinnoverà l’esame dell’appello applicando il suddetto principio di diritto e liquiderà le spese processuali anche del giudizio di cassazione.
                                                                              P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

 Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2011

sabato 26 marzo 2011

CONCILIAZIONE. IN CASO DI OMESSA INFORMATIVA IL MANDATO AD CAUSAM È ANNULLABILE SU ECCEZIONE DI PARTE?

Tribunale di Varese, sez. I, ord. 1° marzo 2011
Vigente l'attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi che trovi applicazione l'art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall'assistito che non ha ricevuto l'informativa. Una interpretazione di diverso segno - la quale consentisse anche alla controparte di demolire il contratto di patrocinio del partner litigante - difficilmente sfuggirebbe alle maglie della incostituzionalità.
 
(Giudice Buffone)

Fatto e diritto

Vanno affrontate diverse questioni portate allo scrutinio di questo giudice.

Parte convenuta costituendosi in giudizio in data 25 febbraio 2011 (e, dunque, venti giorni prima dell'udienza ex art. 183 c.p.c. fissata dall'attore) ha chiesto potersi autorizzare la chiamata in causa del proprio garante e del terzo cui ritenuta comune la causa, anche per l'eventuale domanda di manleva. Ha, però, pure eccepito la nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione dei codici fiscali da parte della difesa legale degli attori e, ancora, l'annullabilità del contratto di patrocinio di questi ultimi non essendo stata depositata l'informativa di cui al d.lgs. 28/2010.

E' chiaro che l'odierna pronuncia impone di prendere in esame le due ultime eccezioni in via preliminare, altrimenti sarebbe antieconomica la chiamata del terzo per il caso in cui questa venga ritenuta meritevole di accoglimento.

Chiamata del terzo

L'autorevole indirizzo delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, sentenza 23 febbraio 2010 n. 4309) ha chiarito, a scanso di equivoci, che in tema di chiamata di un terzo nel processo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo, chiesta tempestivamente dal convenuto ai sensi dell'art. 269 cod. proc. Civ. Il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può quindi rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta. Orbene, nel caso di specie emerge effettivamente l'esigenza di trattare unitariamente le cause sussistendo una connessione particolarmente forte e tenuto anche conto del fatto che una terza chiamata è in garanzia e l'altra per rapporto di subappalto.

La chiamata va, dunque, autorizzata: da qui, però, l'esigenza di superare le questioni preliminari, seppur con scrutinio allo stato funzionale solo al principio di economicità del processo e, dunque, salvo diffuso e compiuto esame, nella sede di merito.

Nullità per omessa indicazione del Codice fiscale

L'atto di citazione è stato notificato sotto la vigenza del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, che ha modificato l'impianto del codice di rito, per quanto qui interessa, negli artt. 125, 163, 167 c.p.c., introducendo nelle disposizioni processuali richiamate l'obbligo di inserimento del codice fiscale: per l'attore (art. 163, comma III, n. 2 c.p.c.), per il convenuto (art. 167, comma I, c.p.c.) e per il difensore (art. 125, comma I, c.p.c.). La giurisprudenza di questo Tribunale (Trib. Varese, ord. 16 aprile 2010 in www.ilcaso.it; www.tribunale.varese.it/GiurisprudenzaVaresina) è nel senso che l'omessa indicazione del codice fiscale non determina nullità della citazione e, sul punto, allo stato non sembra registrarsi polifonia interpretativa, guardando ai giudici di merito che hanno rassegnato medesime conclusioni (v. Tribunale di Lamezia Terme, ordinanza 26 ottobre 2010, est. Ianni; Trib. Mantova, 16 novembre 2010, est. Berardi). Si richiama, dunque, l'orientamento di questo Ufficio

L'omessa indicazione del codice fiscale non può tradursi in una ipotesi di nullità. In primo luogo, non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (art. 156, comma I, c.p.c.); in secondo luogo, il raggiungimento dello scopo, comunque preclude l'insorgere della patologia invalidante (art. 156, comma III, c.p.c.). E' vero che l'art. 164, comma I, c.p.c. afferma essere la citazione nulla se omesso o assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'art. 163 c.p.c. (e proprio nel n. 2 si innesta la modifica legislativa con introduzione dell'obbligo di indicazione del codice fiscale): ma tale inciso va ricondotto alla identificazione “della persona della parte”, secondo una interpretazione che sia coerente con il sistema ed impedisca mere nullità formali non giustificate dalla violazione del diritto di difesa altrui. Ed, allora, sulla scorta di una giurisprudenza ben consolidata, la nullità della citazione, ai sensi dell'art. 163 n. 2, può essere pronunciata soltanto se e quando l'omissione determini una incertezza assoluta in ordine alla individuazione della parte, altrimenti l'omissione costituisce una violazione meramente formale che si traduce in una irregolarità non invalidante l'atto giudiziale. Vi è, poi, che la grave sanzione della nullità, per l'omessa indicazione del codice fiscale, costituirebbe anche un'aporia nella teoria generale delle nullità processuali. Il codice fiscale, infatti, ha la precipua funzione di identificare in modo univoco a fini fiscali le persone residenti sul territorio italiano (iscrivendo, dunque, il contribuente nel registro dell'anagrafe tributaria, v. decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Esso, pertanto, non afferisce ai rapporti tra le parti o tra il giudice e le parti ma alla relazione tra queste ultime e l'amministrazione finanziaria, cosicché la violazione di una norma che disciplina un rapporto estraneo al processo non può riverberare i suoi effetti sul procedimento. In effetti, volendo fornire una interpreazione coerente e sistematica, deve ritenersi che l'art. 4 d.l. 193/09 (come convertito), introducendo l'obbligo di indicazione del codice fiscale in seno agli atti di cui agli artt. 125, 163, 167 abbia di fatto provocato una estensione dell'ambito applicativo dell'art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (che indica gli “atti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscale”). Ed, allora, l'omessa indicazione del codice fiscale non è sanzionata con la nullità processuale, ma con le sanzioni speciali previste dalla legislazione vigente (es. art. 13 d.P.R. 605/73, come prima modificato dall'art. 1, D.P.R. 23 dicembre 1977, n. 955, poi dall'art. 20, L. 30 dicembre 1991, n. 413 ed infine come sostituito dall'art. 20, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473). Non può, peraltro, essere sottaciuto che, invero, secondo la giurisprudenza tributaria, le irregolarità meramente formali, che non comportano evasione di imposta, quale l'omessa indicazione del codice fiscale, non sono più sanzionabili ex art. 10, comma 3 legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente: v., ad es. Commiss. Trib. Centr., Sez. IX, 13 agosto 2001, n. 5983): sarebbe, allora, eccentrico sanzionare in seno al diritto processuale civile, con la nullità, una condotta che in seno al suo alveo naturale, quello tributario, non trova più - in linea di principio - alcuna sanzione.

Per i motivi sin qui esposti, in caso di omessa indicazione del codice fiscale, delle parti, di chi li rappresenta o assiste oppure dei difensori, il giudice non deve pronunciare la nullità dell'atto ma deve sollecitare una condotta che vada a rimuovere l'irregolarità registrata.

Annullabilità del contratto di patrocinio Attori - Difensore

In via preliminare, parte convenuta ha chiesto dichiararsi l'annullabilità del conferimento d'incarico da parte degli attori ai loro difensori, per la violazione dell'art. 4, comma III, del d.lgs. 28/2010, non essendo stata allegata all'atto introduttivo del giudizio, l'informativa specifica sottoscritta dai clienti.

Reputa questo giudice che la questione, come eccepita dalla parte convenuta, non sia idonea, allo stato, a provocare alcun provvedimento anticipatorio o organizzativo da parte del magistrato, vuoi ex art. 183, comma I, c.p.c. oppure ex art. 182 c.p.c. oppure ancora ex art. 187 c.pc. Trattasi, cioè, di questione da rimettere all'alveo decisorio conclusivo del giudizio.

Questi i motivi dell'attuale decisione.

Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 introduce nuovi obblighi in capo ai difensori legali. Per quanto qui interessa, ai sensi dell'art. 4, comma III, si prevede che, all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato sia tenuto a informare chiaramente e in forma scritta l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal d.lgs. 28/10 e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 (oltre ai casi della mediazione cd. obbligatoria). Il documento che contiene l'informazione é sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio.

Il saggio di legificazione in esame, conclude prevedendo che “in caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito e' annullabile”. Da qui l'eccezione dell'avvocato che assiste la parte convenuta.

Ebbene, una lettura del dato normativo consente di ritenere, per come già osservato, l'eccezione non idonea a provocare, allo stato, una anticipazione di giudizio o altro provvedimento (ad es., di sanatoria di eventuali vizi). Innanzitutto, l'obbligo di informazione (cui si associa un onere di allegazione nell'eventuale giudizio) provoca una specifica reazione dell'Ufficio giudiziario, ma nel senso “salvifico” del rapporto: il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informativo, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma I, infatti, “informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

In secondo luogo, l'esegesi del testo, conferma che l'approdo alla “annullabilità” sia nel senso di recepire integralmente la categoria codicistica, con il regime giuridico che ad essa si collega; anche, quindi, in punto di legittimazione ex art. 1441, comma I, c.c. La versione originaria dell'art. 4 prevedeva, infatti, che la violazione dell'obbligo di informazione determinasse la nullità del contratto di patrocinio. Siffatta disposizione era stata fortemente censurata dalla Dottrina, proprio sul rilievo che introducesse, nell'ordinamento, una previsione in distonia rispetto alla teoria generale delle Patologie negoziali.

Vigente l'attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi che trovi applicazione l'art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall'assistito che non ha ricevuto l'informativa. Una interpretazione di diverso segno - la quale consentisse anche alla controparte di demolire il contratto di patrocinio del partner litigante - difficilmente sfuggirebbe alle maglie della incostituzionalità.

Per i motivi sin qui esposti, allo stato va autorizzata la chiamata in causa dei terzi, salvo migliore esame delle altre questioni all'esito della prima udienza di comparizione delle parti, non ignorato il fatto che, su entrambe, è in corso un movimento tellurico idoneo a condurre a nuovo esame.



P.Q.M.



Visti gli artt. 175 c.p.c., 4 l. 24/2010

Invita i difensori che non lo abbiano ancora fatto ad indicare il codice fiscale richiesto dagli artt. 125, 163, 167 c.p.c., negli atti ivi indicati, riservandosi ogni provvedimento ritenuto necessario o opportuno in caso di inottemperanza.

Letti ed applicati gli artt. 101 269 c.p.c.

Autorizza la chiamata in causa dei terzi, a cura della parte convenuta, la quale dovrà evocarli in giudizio entro il 30 aprile 2011 (data entro cui le chiamate devono essere spedite), notificando alle stesse gli atti introduttivi del processo e l'odierno provvedimento.

Fissa l'udienza di prima comparizione di tutte le parti in data 30 settembre 2011, ore 12.00.

Letti ed applicati gli artt. 134, 176 c.p.c.

Dispone che la cancelleria comunichi l'odierna ordinanza alle parti.

mercoledì 23 marzo 2011

MEDIACONCILIAZIONE:Secondo l'Oua, avvocatura unita e compatta contro l'obbligatorietà

L'avvocatura italiana «è unita e compatta contro la mediaconciliazione obbligatoria: lo dicono i numeri e le adesioni alle astensioni di questi giorni». Maurizio de Tilla, presidente dell'Oua, «corregge» il ministro della Giustizia, Angelino Alfano: «continua ad essere arrogante nei
confronti degli avvocati - attacca - E a dire cose inesatte: non è vero che parte dell'avvocatura è con lui. Anche il Consiglio nazionale forense è contro» ritenendo la disciplina sulla media-conciliazione, in quanto obbligatoria, «incostituzionale» visto che «il sistema, così come concepito, non assicura un'adeguata soluzione delle controversie». Non solo: «la richiesta di slittamento avanzata a suo tempo al ministro era finalizzata alla modifica della conciliazione e non per accettare il nuovo sistema dopo un anno così come è formulato». De Tilla dà notizia della pronta calendarizzazione al Senato di due ddl per la modifica della mediaconciliazione (Benedetti
Valentini e Della Monica) che «testimoniano l'impegno bipartisan dei partiti di maggioranza e opposizione a favore delle nostre osservazioni e che raccolgono le proposte emerse dalle proteste di questi giorni. La realtà - conclude - è che il ministro vuole ignorare che l'impianto della mediaconciliazione è, nel suo complesso, incostituzionale». (Fonte Guida al Diritto)

lunedì 21 marzo 2011

IL 90% DELL'AVVOCATURA SI ASTIENE DALLE UDIENZE PER PROTESTARE CONTRO LA MEDIACONCLIAZIONE

Da Mercoledì si sono fermati i tribunali italiani, e a Roma, al Capranica, abbiamo assistito a una manifestazione epocale: oltre duemila partecipanti in rappresentanza degli oltre duecentomila avvocati che oggi hanno incrociato le braccia in tutto il Paese per protestare contro la rottamazione della giustizia civile e la media-conciliazione obbligatoria. Dai nostri dati la partecipazione all’astensione è del 90%. E si prosegue fino al 22. Maurizio  De Tilla, presidente Oua, traccia un bilancio della ed esprime un giudizio positivo sull’incontro, avuto dopo la manifestazione, con la delegazione del Pd, guidata dal responsabile della Giustizia Andrea Orlando. Conferma i prossimi appuntamenti: il 28 marzo con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il 7 aprile con il ministro degli Interni,  Roberto Maroni e poi in giornate ancora stabilire con il presidente dell’Udc, Pier Ferdinando Casini e con il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro. L’astensione continua fino al 22 marzo: “Gli avvocati – sottolinea de Tilla - la stragrande maggioranza degli ordini e delle associazioni forensi stanno dando prova di una grande unità in questa battaglia in difesa dei diritti dei cittadini. Lo dimostrano le adesioni all’astensione: oltre il 90% dei legali stanno incrociando le braccia. Ma anche il sostegno ricevuto dalla stessa magistratura, con in testa l’Anm, nonché dalle forze politiche, ed infatti la prossima settimana sarà calendarizzato al Senato un ddl bipartisan che modificherà questo sistema di mediazione finalizzato alla conciliazione.   Di fronte a un così ampio e trasversale fronte di opposizione ha concluso - vogliamo anche rivolgerci con garbo ed amicizia al Consiglio Nazionale Forense che, pur condividendo in toto le critiche, ha parlato della necessità di dover “rispettare la conciliazione”. Ci chiediamo come si può accettare un sistema che è innanzitutto incostituzionale sotto molteplici aspetti, che è contro i diritti dei cittadini, che è escludente nei confronti degli stessi avvocati, che è viziato da una logica strettamente economicista nonché dettato da precisi settori dell’impresa di questo Paese (Confindustria, banche, assicurazioni…). In sintesi come possiamo essere corresponsabili di un processo di svendita della giurisdizione e di privatizzazione della giustizia 
civile, nonché di un attacco così duro alla professione di avvocato”
(Fonte: Luigi Berliri, Mondoprofessionisti)

lunedì 14 marzo 2011

MANDATO SCADUTO DEL GDP: NULLITA' ASSOLUTO DELL'INTERO PROCESSO

PROCEDIMENTO CIVILE – GIUDICE DI PACE - MANDATO SCADUTO - ESERCIZIO DELLE FUNZIONI NELLE MORE DELLA CONFERMA - NULLITA' INSANABILE - ESTENSIONE ALLA SENTENZA

Il giudice di pace che esercita le funzioni giurisdizionali dopo la scadenza del mandato e nelle more della riconferma ma prima della nuova immissione in possesso per l’espletamento del successivo incarico, pone in essere un’attività giurisdizionale in carenza di “potestas judicandi” che produce la nullità assoluta del procedimento e si estende alla sentenza conseguente.

Sentenza n. 4410 del 23 febbraio 2011

(Sezione Seconda Civile, Presidente R. M. Triola, Relatore A. Carrato)
Fonte: http://sentenze.blogspot.com/2011/03/procedimento-civile-giudice-di-pace.html

martedì 8 marzo 2011

RESPONSABILITA' MEDICA: IN CASO DI DIMISSIONI AFFRETTATE IL MEDICO E' RESPONSABILE PER LA SUCCESSIVA MORTE DEL PAZIENTE

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 8254 del 2 marzo 2011 ha stabilito che commette omicidio colposo il medico che dimette frettolosamente un malato che muore poco dopo le dimissioni.
Protagonista del caso è un uomo ricoverato a causa di un infarto sottoposto ad angioplastica e dimesso nove giorni dopo il ricovero. Nella stessa notte, l'uomo è colto da un nuovo scompenso cardiaco e viene portato all'ospedale dove arriva in arresto cardiocircolatorio e muore subito dopo.
Il Tribunale condanna il medico che ha firmato le dimissioni a otto mesi di reclusione oltre al risarcimento per danni morali ai famigliari del defunto. Il medico si rivolge alla Corte di Appello di Milano che, riformando la sentenza di primo grado, lo assolve perché il fatto non costituisce reato in quanto il medico ha seguito le linee guida in tema di dimissioni. Avverso tale decisione la Procura di Milano presenta ricorso in Cassazione.
I giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso annullando l'assoluzione dall'accusa di omicidio colposo e ribadendo il concetto che la tutela del diritto alla salute prevale su qualunque principio di economicità.
Se l'uomo non fosse stato dimesso, come da perizia legale, sarebbe tranquillamente sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto. Di conseguenza i medici dovrebbero opporsi a un’applicazione meccanica delle linee guida di economicità gestionale che mirano sostanzialmente ad accelerare le dimissioni del paziente.
(Fonte: Avvocati.it)

lunedì 7 marzo 2011

DANNO DA VACANZA ROVINATA, RISARCIMENTO, NATURA GIURIDICA, AMMISSIBILITA'

Tribunale Milano, sez. XI, sentenza 16.12.2010 n° 14418
Il danno da vacanza rovinata può farsi rientrare nella previsione dell'art. 92 comma 2 del D.Lgs 206/2005; esso può essere descritto come quel pregiudizio che si sostanzia nel disagio e nell'afflizione subiti dal turista-viaggiatore per non avere potuto godere pienamente della vacanza come occasione di svago e/o di riposo.
Tale voce di danno è configurata da alcuni come voce di danno patrimoniale (in considerazione del fatto che il godimento del bene "vacanza" viene considerato bene giuridico suscettibile di valutazione patrimoniale), da altri come voce di danno non patrimoniale.
La risarcibilità del danno da vacanza rovinata, configurato come danno non patrimoniale, si fonda sul combinato disposto dell'art.2059 c.c. e dell'art.92 comma 2 del Codice del Consumo, secondo il quale il consumatore, in caso di annullamento del pacchetto di viaggio senza colpa da parte del consumatore, ha diritto, oltre alla restituzione della somma o, in alternativa, all'offerta di una prestazione equivalente da parte del tour operator, al risarcimento di ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto.
(Fonte: Altalex.com)

giovedì 3 marzo 2011

RISARCIMENTO INTEGRALE ALL'UTENTE PER RITARDATO RECAPITO

Corte costituzionale - Sentenza 7-11 febbraio 2011 n. 46
Le Poste devono risarcire l'intero danno subito dal cliente in caso di ritardo nel recapito di una spedizione effettuata con il servizio postacelere. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza 46/2011 ha dichiarato illegittimo l'articolo 6 del Dpr n. 156 del 1973 nella parte in cui il concessionario non incontra alcuna responsabilità per il ritardato recapito delle spedizioni. A sollecitare l'intervento dei giudici di Palazzo della Consulta è stato il tribunale di Napoli al quale si era rivolta una società che aveva spedito a mezzo postacelere la documentazione necessaria per partecipare a una gara per l'affidamento di un appalto. La spedizione, a causa di un errore del vettore, è stata effettuata a Reggio Calabria invece che a Reggio Emilia, con conseguente esclusione dalla gara dell'istante, essendo nel frattempo scaduto il termine di presentazione delle offerte. La Posta, riconosciuto l'errore, si è limitata a rimborsare all'utente il costo di spedizione, ma ora dovrà risarcire il danno effettivamente subito dalla società. I giudici della Corte costituzionale, infatti, nel "bocciare" la norma hanno affermato che "la previsione della mera corresponsione del costo per la spedizione determina, anche nel caso di servizio postacelere, una totale esclusione di responsabilità, non essendo in grado di assolvere a una funzione risarcitoria del danno arrecato all'utente, che utilizza il predetto servizio proprio in vista della celerità del medesimo".

mercoledì 2 marzo 2011

TRIBUNALE DI MESSINA: RISARCITO EX DIPENDENTE POSTE MALATO DI CANCRO

Ammalatosi di tumore alla gola nel 2000, sei anni dopo essere andato in pensione, l’uomo, nel corso del procedimento, ha spiegato che i colleghi fumavano durante le ore di lavoro e che non era possibile aprire le finestre presenti nei locali di lavoro, visto che queste erano sigillate; conseguentemente si sarebbe ammalato alla gola, con compromissione delle capacità vocali, proprio a causa del fumo passivo.
Il giudice del lavoro di Messina ha accolto la tesi dell’ex impiegato condannando Poste Italiane a pagargli ben 174.000 euro, a titolo di risarcimento danni. In particolare, osserva il giudice, l'art. 2087 c.c., invocato a fondamento della sua pretesa, impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure che, in relazione alla natura dell'attività svolta, all'esperienza ed alla tecnica, valgano a preservare la salute del lavoratore.
La pericolosità del fumo c.d. “involontario”, si legge in sentenza, era ben nota nel nostro Paese all'epoca dei fatti tant'é che già nel 1975 era entrata in vigore una normativa che vietava il fumo in determinati ambienti sensibili, tra i quali le corsie degli ospedali, le aule delle scuole, le metropolitane, i cinema.
(Fonte: Avvocati.it)

CASSAZIONE: CHI CADE SUL BUS VA RISARCITO ANCHE SE L'AUTISTA NON HA COLPA

ROMA - La caduta sull'autobus va sempre risarcita, anche se l'autista non ha colpa. Lo dice la Cassazione, secondo la quale, in caso di infortuni sul bus, il cittadino ha comunque diritto ad avere una indennità per i danni patiti. Pure se «modesto», data la mancanza di responsabilità del conducente dell'autobus, il risarcimento, comunque, spetta di diritto. In questo modo, la Sesta sezione civile ha convalidato il modesto risarcimento accordato al catanese Alfonso G. caduto sul pavimento di un autobus a causa di una brusca frenata. Una caduta che, come riferisce la sentenza 4442, non era da imputare al conducente dell'autobus, che «non aveva la possibilità di tenere una condotta di guida diversa e che era stato costretto a frenare per l'improvvisa invasione della corsia di un motorino cui ha attribuito l'esclusiva responsabilità dell'evento». Ad Alfonso G., comunque, era stata riconosciuta una modesta indennità dalla Corte d'appello di Catania, nel settembre 2009. Il passeggero ha fatto ricorso in Cassazione per chiedere più soldi.

Piazza Cavour ha respinto il ricorso e ha colto l'occasione per ricordare in quali casi operi la presunzione di responsabilità negli incidenti accaduti sull'autobus. «In tema di trasporto di persone - scrive la Suprema Corte - la presunzione di responsabilità di cui all'art. 1681 a carico del vettore per i danni del viaggiatore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore medesimo e l'attività del vettore in esecuzione del trasporto, restando viceversa tale presunzione esclusa quando sia accertata la mancanza di una colpa in capo al vettore, come nel caso in cui il sinistro venga attribuito al fatto di un terzo viaggiatore».

Sulla base di questa considerazione, 
la Cassazione ha fatto notare che la sentenza impugnata «non si è affatto discostata da questo orientamento» visto che il conducente dell'autobus «era stato costretto a frenare all'improvviso». Il passeggero avrà in ogni caso diritto ad un modesto indennizzo per i danni patiti in seguito alla caduta.
(Fonte: Il Messaggero)

martedì 1 marzo 2011

FORMAZIONE: RIDOTTI I CREDITI FORMATIVI

Il Cnf, tenuto conto degli esiti del questionario agli Ordini sulla congruità del monte crediti formativi che gli avvocati sono tenuti ad adempiere e tenuto conto delle esperienze europee, alla scadenza del primo triennio di sperimentazione,  ha deciso, nella seduta amministrativa del 25 febbraio, di fissare a 75 i crediti formativi che è obbligatorio cumulare nel triennio, stabilendo che 60 dovranno essere ordinari e 15 in deontologia e ordinamento professionale.  
(Fonte: Consiglio Nazionale Forense)

MEDIAZIONE: IL CNF APPROVA UN DOCUMENTO DI CRITICA DA DISTRIBUIRE NEGLI ORDINI

Il parlamento ha definitivamente approvato il decreto Milleproroghe, che proroga di un anno l’entrata in vigore della mediazione nelle sole materie del condominio e della responsabilità da circolazione stradale.
Il Cnf, preso atto di tale situazione, nella seduta amministrativa del 25 febbraio scorso ha approvato un Manifesto nel quale  stigmatizza le incongruenze della legge. Il Manifesto è stato inviato a tutti gli Ordini forensi. Di seguito riportiamo il testo integrale.
Mediazione: e le garanzie per il cittadino?
Da un anno il Cnf denuncia con forza le palesi incongruenze di una legge che ha costruito un’alternativa alla giurisdizione senza garanzie per i cittadini, che dovranno obbligatoriamente ricorrervi privi di adeguata tutela ed impossibilitati a valutare consapevolmente le eventuali rinunce ai propri diritti.
L’Avvocatura, chiamata dalla Costituzione e dalla legge speciale alla salvaguardia dei diritti anche dei soggetti più deboli, non contrasta l’idea della mediazione quale complemento della giurisdizione nella soluzione dei conflitti, ma ribadisce la propria opposizione a questa normativa, tra l’altro di dubbia costituzionalità, che, per come concepita, si risolve in un percorso ad ostacoli nell’accesso alla giurisdizione, con un aumento di oneri  e costi per ottenere risposta alla domanda di giustizia.
Il Cnf  ha ripetutamente rappresentato i limiti della legge, chiedendone le necessarie modifiche.
L’Avvocatura ha dovuto tuttavia prendere atto che il Governo ha purtroppo disatteso le richieste formulate, con il profilarsi di una paralisi del sistema che avrà ricadute negative sui procedimenti in atto e sulle iniziative processuali da incardinare.
Il Cnf ribadisce le posizioni espresse e le richieste formulate e nel contempo è concretamente a disposizione dei Consigli dell’Ordine per tutte le necessità connesse all’entrata in vigore dell’obbligatorietà della procedura.
Cliccare sul link per leggere il manifesto. 

(Fonte: Consiglio Nazionale Forense)

Sentenze e massime - Ultime dalla Corte di Cassazione